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MATERA IMAGINED / MATERA IMMAGINATA. Photography and a Southern Italian Town.

Dopo il successo romano, apre i battenti la mostra MATERA IMAGINED / MATERA IMMAGINATA Photography and a Southern Italian Town, curata da Lindsay Harris e realizzata dall’American Academy in Rome in collaborazione con il Polo Museale della Basilicata e il sostegno della Fondazione Matera – Basilicata 2019, che hanno voluto portare a Matera l’esposizione che restituisce la costruzione dell’immagine di Matera nel secondo dopoguerra attraverso lo sguardo della fotografia che contribuisce a plasmare, in quegli anni speciali, il destino della Città dei Sassi.

Matera, vergogna nazionale per le tragiche condizioni di vita nei Sassi, così come “rivelato” dalla denuncia di Carlo Levi, diventa – grazie al piano Marshall e alla visione illuminata di protagonisti eccellenti di quella stagione di nuovo meridionalismo [da Adriano Olivetti a Manlio Rossi Doria a Rocco Mazzarone a Friedrich Georg Friedmann per fare solo qualche nome] – uno straordinario laboratorio di pensiero e progettazione urbana e sociale. La città dei Sassi, con le sue contraddizioni, la sua millenaria bellezza ma soprattutto la sua immediata umanità [questo registrano tutti i fotografi e fotoreporter che la raggiungono nell’immediato dopoguerra, spinti da una “spiccata inclinazione alla sociologia”] irrompe come luogo privilegiato nel dibattito meridionalista di quegli anni, nazionale e internazionale. Insieme a economisti, scienziati sociali, urbanisti e architetti, antropologi e scrittori, anche gli artisti e specialmente i fotografi convergono a Matera e si confrontano con lo speciale contesto dell’antica città rupestre, simbolo dell’arretratezza del mezzogiorno e presto della questione meridionale, contribuendo a fondarne l’immagine, cristallizzata poi dallo svuotamento degli antichi quartieri.

Ma Matera, città del rovesciamento da distopia a utopia, che ha saputo capovolgere il suo destino da vergogna a patrimonio mondiale dell’umanità, oggi è Capitale Europea della Cultura in nome di tutti i Sud perché espressione dell’incontro tra conservazione e innovazione, tra futuro e remoto, tra radici e percorsi, anche perché ha saputo rimettere in processo, facendo incontrare conservazione e innovazione [sociale, culturale, digitale], quell’immagine, mai scontata, mai solo cronaca o documentazione, sempre piena di vita e umanità, come le fotografie in mostra, che coprono cinquanta anni di storia, raccontano magnificamente, guardando limpidamente al futuro, aperto e condiviso, come i bambini dei Sassi, sopravvissuti al dolore, prefiguravano già negli anni Cinquanta.

In mostra quarantasei fotografie realizzate nel corso degli ultimi 70 anni e prevalentemente nell’immediato dopoguerra [ventinove] da alcuni degli autori più importanti che si sono confrontati con il contesto rupestre di Matera e in generale con la Basilicata rurale. Tra di loro, oltre ai fondatori di Magnum Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Emmet Gowin e agli altri fotoreporter americani legati alla grande Agenzia fotografica, tra i quali anche alcune fotografe donne come Esther Bubley e Marjory Collins, anche fotografi italiani come Fosco Maraini, tra i primi a raggiungere Matera a cavallo degli anni Cinquanta. La selezione di Harris comprende anche altri grandi autori, come Piergiorgio Branzi e Luigi Ghirri, oltre agli amici Mario Carbone [di cui il Polo Museale ha acquisito un consistente fondo in occasione della grande mostra sul Vangelo secondo Matteo di Pasolini], Mario Cresci [che ha trascorso oltre vent’anni in Basilicata e al quale Palazzo Lanfranchi ha dedicato l’ultimo capitolo di una grande retrospettiva nel 2011], e Augusto Viggiano [il cui ricco archivio fotografico è stato recentemente acquisito dal Comune di Matera con l’intento anche di avviare il riconoscimento di “interesse culturale”].

La mostra rilegge la costruzione dell’immagine della città. Dalla sua identità del passato, tragicamente immobile, così come narra Levi fino al suo nuovo ruolo di riferimento culturale e di modello dell’eredità mediterranea.

Nel percorso espositivo, le prime immagini, a cavallo degli anni ’40 e ’50, sono quelle contemporanee agli interventi del piano Marshall e al progetto urbanistico de La Martella, promosso da Adriano Olivetti. In questo momento prende forma, negli Stati Uniti e in Europa, l’idea di un utilizzo sociale della fotografia. Su questa spinta verso la modernizzazione arrivano a Matera David Seymour e Henri Cartier-Bresson, entrambi fondatori della Magnum, e quindi i reporter Marjory Collins, Esther Bubley e Dan Weiner.

Negli anni ’50 e ’60 per i fotografi italiani, come Piergiorgio Branzi, Fosco Maraini e Mario Carbone, Matera è anche il simbolo di una identità nazionale da ricostruire, a partire dal Sud: il loro è uno sguardo antropologico, oltre che politico e sociale.

Anche di fronte al progressivo abbandono dei Sassi, avviato alla fine degli anni Cinquanta, il sito disabitato di Matera incontra dagli anni ’70 un nuovo interesse da parte dell’obiettivo fotografico, questa volta indirizzato al potenziale conoscitivo e espressivo che la città suscita nell’artista. E’ il caso del materano Augusto Viggiano, ma anche di Emmet Gowin, Mario Cresci e Luigi Ghirri.

Le opere più recenti presenti in mostra, create dall’artista Carrie Mae Weems e dall’architetto Yasmin Vobis insieme allo studioso Joseph Williams, nel corso della loro permanenza in Italia come borsisti dell’American Academy in Rome, raccontano “il ritorno” ai Sassi e l’apertura di una nuova fase per il patrimonio culturale di Matera.

Tutte queste immagini, per la prima volta insieme, compongono una narrazione non solo del patrimonio di Matera e della sua storia. «Queste raffigurazioni mettono anche in risalto quelle questioni che hanno definito l’età moderna, nel bene o nel male: le lotte di potere tra la cultura del nord e quella del sud e tra l’ambiente urbano e quello rurale, la temuta scomparsa dei costumi e delle credenze tradizionali di fronte alla tecnologia, la persistenza della fede in un mondo sempre più definito dal razionalismo, le sfide lanciate dalla creazione di un’Europa unita e, infine, il fascino esercitato dalla fotografia su individui di qualsiasi estrazione sociale come mezzo per raccontare queste e altre storie attraverso le immagini. Nelle loro mani, la macchina fotografica ha affermato la capacità di Matera di rappresentare i fondamenti stessi di ciò che ci rende umani», scrive la curatrice nel catalogo che accompagna la mostra.

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